Per tenersi in forma ogni organismo vivente ha costante necessità di fare esercizio, così dal 19 al 21 novembre scorsi, anche la Chiesa locale ha avuto l’opportunità di «allenarsi» per consolidare i risultati raggiunti nei precedenti incontri di preparazione al cammino sinodale e alla visita pastorale. La convocazione del vescovo Gian Franco, incentrata sugli «Esercizi di sinodalità», è stata pensata, infatti, nell’intento di vivere un’esperienza di comunione, partecipazione e missione tra sacerdoti, diaconi, responsabili e operatori dei servizi pastorali. L’incontro si è aperto venerdì mattina, 19 novembre, nel contesto del ritiro del Clero, proseguito nel pomeriggio dopo un momento di accoglienza in cui i partecipanti sono stati coinvolti in un’attività di gruppo. In quel contesto, ricalcando lo stile del world café aperitivo, è stato avviato un confronto costruttivo intorno a domande specifiche sul percorso sinodale, mettendo in evidenza aspetti critici e proposte operative. Un modo diverso di sperimentare il processo ecclesiale in atto, partecipato e inclusivo, in cui ciascuno si è sentito responsabile di un nuovo modo di annunciare il Vangelo. Ad accompagnare gli esercizi, hanno pensato il padre gesuita Emilio Gonzalez Magaña, ordinario nella Pontificia università gregoriana e i formatori Fabrizio Carletti e Stefano Bucci del Centro studi Missione Emmaus. Il contributo di padre Emilio, «In ascolto dello Spirito», ha messo in risalto gli elementi principali del discernimento comunitario, attraverso la parola del Signore, per scoprire la sua volontà. Il gesuita ha spiegato infatti che il discernimento, che trova le sue radici nell’Antico Testamento, è «Comprensione spirituale e conoscenza esperienziale dell’azione di Dio nella vita quotidiana». Un’azione necessaria, specie in questo momento storico particolarmente delicato in cui si assiste al dissidio spirituale dell’individuo inserito dentro contesti in cui è facile lasciarsi prendere da una sorta di autoinganno. Un discernimento comunitario, dunque, con i due presupposti, teologico e antropologico, in cui è fondamentale il dialogo contemplativo e profetico che implica la testimonianza.

La riflessione avviata nella tre giorni a San Giorgio è stata impostata, in particolare, su alcuni temi di fondo, a partire dai tre aspetti che danno consistenza al discernimento comunitario: costruire una comunità raccolta attorno all’Eucarestia, ascoltare lo Spirito Santo per fare solo la volontà di Dio, prendere una decisione formale che implica una grande qualità del cuore. Il passo successivo è il discepolato, il mandato: «Per discernere la nostra appartenenza alla Chiesa – ha proseguito padre Magaña – sono necessarie delle regole per maturare l’autentico sentire nella Chiesa militante attraverso la risposta che dà Sant’Ignazio di Loyola: sentire la Chiesa implica una chiamata alla santità con un linguaggio che comporta l’orgoglio del senso di appartenenza». In questo contesto siamo chiamati, come fedeli, a diventare leader che affrontano le sfide della sinodalità per costruire una Chiesa aperta al mondo, credibile nel servizio attraverso una formazione permanente mettendo a disposizione i propri carismi. I laici consapevoli dei loro carismi e delle responsabilità che ne conseguono, infatti, rendono attiva, nella vita comune, l’energia dello Spirito che opera in mezzo al mondo per la diffusione del Vangelo.

Dal canto loro, i formatori del Centro studi Missione Emmaus, Fabrizio Carletti e Stefano Bucci, hanno proposto una ridefinizione dei processi nel cammino sinodale, fornendo elementi formativi e strumenti utili a interiorizzare e promuovere un nuovo modo di fare Chiesa. Il lavoro, quindi, è stato ripartito per tavoli attraverso l’ascolto o l’adozione dei metodi tipici del laboratorio rivolto a operatori pastorali. Proprio loro, a turno, hanno partecipato ai tre laboratori attivati nel corso della tre giorni: ascolto del «Sogno missionario», memoria della propria esperienza di fede e gestione del conflitto nel contesto della comunità. L’ultimo intervento di Fabrizio e Stefano ha riguardato «Lo stile degli artigiani di comunità». Espressione mutuata dal lessico di Papa Francesco che usa spesso l’immagine del lavoro artigianale, ma che non vuole essere una proposta industriale, che privilegi l’organizzazione rispetto alla relazione, la perfezione rispetto alla compassione, l’ansia della risposta rispetto all’accoglienza della domanda. Piuttosto, una proposta «artigianale» preoccupata di costruire percorsi più che elaborare programmi, di plasmarsi sulle situazioni faticose più che andare in ricerca delle situazioni esemplari, di mettersi al passo con chi arranca più che correre per i primi posti. Si tratta, in definitiva, di recuperare una sana dimensione personale, utile a farci comprendere che la trasmissione della fede avviene attraverso la vita stessa dei testimoni. 

Articolo di Antonello Mura pubblicato sul numero 41 2021 di Libertà – Settimanale Diocesano