Attenzioni e stili educativi da mettere in atto con adolescenti e giovani. Questo il tema del secondo incontro del percorso formativo «Solleciti nell’educare perché il cuore cambia mosso dallo spirito», svoltosi online il 29 aprile scorso. Per trattare un argomento così delicato, la pastorale giovanile diocesana, in collaborazione con la Fondazione Accademia, ha deciso di rivolgersi alla pedagogista Laura Corrias, che opera nel settore della consulenza finalizzata agli interventi educativi. La relatrice non si è limitata a fornire ai partecipanti definizioni o semplici nozioni facilmente reperibili nei manuali di pedagogia. Infatti, durante l’intera conferenza, si è instaurato un vero e proprio dialogo, avviato subito dopo l’introduzione. In primis, ci si è soffermati sul concetto di attenzione, che il dizionario online Treccani, definisce come l’atto di rivolgere e applicare la mente a un oggetto, un «processo che permette di concentrare o d’indirizzare l’attività psichica su un determinato oggetto». Calando il significato nel contesto, attenzione è il prendersi cura di qualcuno, in questo caso l’adolescente. Per comprendere ulteriormente il senso del termine e dargli un taglio concreto, la pedagogista ha citato un fatto di cronaca relativamente recente, raccontato da Paolo Crepet, psichiatra e opinionista italiano, in uno dei suoi saggi. Si tratta di un omicidio familiare ad opera di due ragazzi, maturato in un contesto in cui la mancanza di cura nei loro confronti, secondo la valutazione dello specialista, avrebbe avuto una parte importante. Ma senza arrivare a casi limite come quello, la domanda cruciale è la seguente: quanti giovani sono in balìa della vita, senza una guida o, pur avendola formalmente, non riescono a trovare dei binari da percorrere? Capita spesso che in ambienti come quello scolastico o sportivo, dove risiede la gioventù per eccellenza, professori o allenatori diano troppo spazio al programma o alla tabella di marcia, quasi come se i ragazzi fossero degli automi da prestazione, dimenticandosi di avere davanti persone con una propria storia. Forse, vivendo in una società affetta da «ansia da produttività», ognuno è immerso in una bolla e l’epicentro è la sua persona.

Laura Corrias ha spronato i partecipanti a mettersi in ascolto, a donare del tempo, che non sia strettamente quantitativo, ma qualitativo, affettivo, relazionale, per aiutare una persona in difficoltà. È necessario, quindi, andare oltre le scadenze e gli appuntamenti, accompagnando l’adolescente, senza soffocare le sue attitudini e lasciare lo spazio giusto per germogliare. In relazione a questo, Corrias ha invitato gli ascoltatori a ragionare su un altro tema: l’adulto di riferimento talvolta ha delle aspettative che non corrispondono all’età e pretende che il giovane sia al suo livello, nelle responsabilità, nelle decisioni. Ma mostrare disponibilità ha un altro significato: essere empatici, entrare, etimologicamente, nel dolore dell’altro, come se fosse la propria sofferenza. Per aiutare gli educatori, o gli aspiranti, a entrare in contatto con i giovani, la dottoressa Corrias ha descritto gli stili educativi, approcci relazionali da mettere in atto con gli altri, per favorire il benessere dell’educando. Sono stati identificati da Diana Baumrind, psicologa dello sviluppo, e classificati in tre tipologie: il primo è il modello autorevole, definibile come «giusto», in cui vigono delle regole e si ha una comunicazione e un supporto. Il secondo è quello autoritario, molto diffuso qualche decennio fa, dove la figura di riferimento è rigida, severa, e non si ha la volontà di instaurare un vero e proprio legame affettivo, ma solo di assoluta obbedienza. Infine, il modello permissivo, il più diffuso attualmente, dove le regole non sono chiare e non ci sono confini e ruoli definiti. È chiaro, dunque, a questo punto, comprendere quale sia l’approccio più indicato per educare e per relazionarsi con un giovane. Per concludere, una frase, parafrasata, di Daniela Lucangeli, professoressa ordinaria in psicologia dell’educazione e dello sviluppo, nell’università di Padova, esprime bene quale debba essere l’atteggiamento dell’adulto: «essere il miglior catalizzatore possibile. Arrivare nell’orizzonte nel suo orizzonte». Il prossimo appuntamento con il percorso formativo è fissato giovedì 13 maggio, per parlare di accompagnamento dei giovani nelle scelte di vita insieme a don Fabio Rosini, direttore del Centro diocesano vocazioni di Roma.

Articolo di Angela Falchi pubblicato sul numero 17 2021 di Libertà – Settimanale Diocesano