«Solleciti nell’educare perché il cuore cambia mosso dallo spirito» è il titolo accattivante del progetto ideato dalla Pastorale giovanile diocesana in collaborazione con la Fondazione Accademia casa di popoli, culture e religioni. La prima tappa del percorso formativo, rivolto agli educatori, si è svolta online, lunedì 11 aprile, con il coordinamento curato da Pier Paolo Cavagna, psicologo e pedagogista, a cui è stato affidato il compito delicato di definire le figure dell’adolescente e del giovane d’oggi mettendo in luce i loro bisogni. Le domande non hanno costituito novità, basti pensare all’opera leopardiana «Canto notturno di un pastore errante d’Asia», nel quale, il protagonista, rivolgendosi alla luna, rivolge la fatidica domanda: «E io che sono?». Ma proprio perché non si è mai soddisfatti di una risposta, si è deciso di parlarne, ancora una volta, con un professionista che non ha tenuto la classica lezione frontale anzi, malgrado la barriera rappresentata dal computer, è nato un dialogo vivace che ha reso il tema ancor più stimolante.

Uno dei primi elementi emersi è stata la confusione che caratterizza quella fascia d’età, così variegata e talvolta misteriosa per i più grandi. Qualcuno dei partecipanti, in relazione a questo aspetto, ha attribuito la colpa alla società, caratterizzata dal concetto di «liquidità» teorizzato da Zygmunt Bauman, una realtà priva di confini e regole, nella quale i ragazzi non trovano più figure di riferimento. I più giovani, chiamati in causa, hanno deciso di aprire il dibattito rivendicando la propria identità, con un appello ben chiaro: «Ascoltateci senza giudizio!». In effetti, l’etimologia della parola «educare» spiega la richiesta: educere (dal latino), sta a indicare proprio l’azione del «tirare fuori», quindi, per comprendere questa figura quasi «mitologica», a volte eroicizzata, a volte svalutata, l’ideale è mettersi in ascolto, per capire cosa un giovane sia in grado di portare alla società, ma senza «riempirlo» di richieste da soddisfare. Altro momento interessante è stato dedicato alla comprensione del momento fatidico in cui un individuo raggiunge «le maturità», considerando appunto l’aspetto legale, fisiologico ed economico. Anche in questa occasione, le risposte hanno spaziato: chi ha fatto coincidere l’inizio di quell’età con il primo lavoro, chi dopo la genitorialità, chi nel momento in cui, varcata la soglia dell’università, ha dovuto cambiare città e abbandonare il nido. Legalmente, ogni paese ha le proprie leggi al riguardo: mentre in Italia si aspettano i tanto desiderati 18 anni, in Oriente la situazione è quasi drammatica: le bambine sono maggiorenni all’età di 9 anni e, questo, implica la possibilità di contrarre matrimonio. E, se nel nostro paese, i genitori sono obbligati a mantenere i figli maggiorenni, quando non dispongano di capacità propria, questo non deve diventare il pretesto per non crescere, ma lo stimolo per uno sviluppo della costruzione del sé, tramite un percorso a tappe. Ecco, quindi, che dal dialogo col dottor Cavagna sono state individuate quattro categorie di bisogno, le quali reclamano di essere soddisfatte: in primis la necessità di un’identità, la quale è seguita da un desiderio di occupare un ruolo nella società, volendo una conferma dall’altro sulla propria persona. Terza esigenza è l’autonomia, cioè cosa può maturare a livello di pensiero, seguita dalla quarta, l’indipendenza, caratterizzata dall’azione generativa. Cavagna ha concluso con una domanda, rivolta ai partecipanti per la riflessione personale e come bagaglio per affrontare il prossimo incontro, in programma giovedì 29 aprile: «Quale è il modo giusto per tenere un cardellino nella mano? Se stringo troppo soffoca, se apro completamente il palmo cade. L’unica soluzione è l’equilibrio e questo vale anche per i ragazzi. Ci vuole la distanza giusta».

Articolo di Angela Falchi pubblicato sul numero 14 2021 di Libertà – Settimanale Diocesano