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CASA DI POPOLI, CULTURE E RELIGIONI

Cooperazione / 5 marzo 2023

La presenza è il dono più grande

Don Francesco Meloni racconta la sua esperienza di missione in Madagascar

“Appena metti piede in Madagascar ti accorgi subito dell'enorme differenza di stile di vita”.

Solo per arrivare nella regione dell´Ihorombe, bisogna attraversare più di 600 km di strade per lo più sterrate. Un viaggio che dura almeno due o tre giorni, sempre se si ha la fortuna di avere una macchina. L´esperienza di Don Francesco Meloni nella missione di Analavoka a Ihosy tra gli abitanti del popolo Bara è iniziata proprio così, dopo una lunghissima traversata che gli ha cambiato la vita.

“Avevo appena tre anni di sacerdozio quando padre Francesco Soddu, il direttore della Caritas di quel periodo, mi chiese di accompagnarlo in Madagascar per far visita alle suore manzelliane che lì vivevano l'esperienza, ma l´intenzione non era di andare in missione. Anzi, i piani erano tutt'altri. Ho trascorso un mese intero a Isifotra, ma quando è arrivato il momento di tornare in Sardegna, è cambiato tutto.

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Avevo visto coi miei occhi quanto, in quelle terre, servisse la presenza di un sacerdote. Lungo tutto il viaggio di ritorno la domanda che mi tormentava era solo una: per quale motivo non avrei dovuto mettermi a servizio? Perché come prete, tutto ciò che mi è stato donato dal buon Dio, ho il dovere di restituirlo agli altri. Fu così che, quando tornai, decisi di fare domanda insieme a Don Emanuele Piredda grazie all'appoggio del Vescovo di allora, Mons. Padre Paolo Atzei.”

Incontrarsi significa anche aiutarsi

Era da moltissimi anni che la diocesi di Sassari, nonostante la sua storia, non investiva sacerdoti diocesani in una missione. Fino a quel 2013. Il Madagascar è uno dei paesi più poveri al mondo, con un tasso di malnutrizione cronica tra i più alti in assoluto, alfabetizzazione e sanità assenti in molte zone del sud del Paese. Anche le differenze culturali e religiose sono enormi, se si pensa che la diocesi di Ihosy ha poco più di 50 anni come conoscenza della Fede, mentre la diocesi di Sassari ne ha quasi 2000. Ma cosa significa intervenire in un contesto del genere?

“Dobbiamo cancellare l'idea per cui chi va in terra di missione porta la sua cultura in un altro paese per cambiarne finalmente le sorti. Non c'´e nessun superman che col suo arrivo salva tutti. Il nostro compito è cercare l´incontro fra le culture.”

Il sostegno alla missione di Analavoka da parte di Fondazione Accademia e di tutto il nostro universo diocesano, parte proprio da questo presupposto. Il nostro obiettivo è animare la missione. Animarla significa anche raccontare qui in Italia cosa vuol dire vivere nel Sud del Madagascar accompagnando il dialogo fra le culture dei due Paesi.

“La missione è incontrare e conoscere. Incontrarsi significa anche aiutarsi e quelle che noi chiamiamo Opere segno nascono da questo incontro. Stiamo parlando di spazi come la Casa dello studente, la casa famiglia o di realtà come le scuole rurali, principalmente elementari, distribuite sul territorio. Per ora abbiamo solo una scuola media gestita dalle suore francescane nella missione, ma non ci occupiamo solamente dell´istruzione nell´infanzia. Quando la sera gli uomini tornano dai campi o dalla risaia, hanno la possibilità di imparare a leggere e scrivere frequentando brevi incontri di circa un´ora tenuti da laici del posto sparsi per tutti e 41 i villaggi. Anche nella Casa famiglia ci occupiamo di alfabetizzazione e di sostegno alla maternità offrendo corsi pre e post-partum. È un contributo concreto alla situazione femminile di quel territorio. Lì le donne non hanno strumenti, non hanno assolutamente difese.”

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L´istruzione è la chiave

Don Francesco parla di elementi di estrema povertà che affliggono la regione di Ihosy. Ma la povertà a cui si riferisce non è solo quella economica e sociale: le assenze più gravi sono nel campo dell´istruzione e della sanità.

“A livello culturale, manca la consapevolezza di quanto l´istruzione possa essere la chiave per lo sviluppo di quel popolo. E poi la sanità. Ho paura a parlare di assenza. Piuttosto è più corretto dire la non presenza di presidi, di certezze e di sicurezza sanitaria. Questo comporta che per qualsiasi tipo di urgenza grave, l´unica soluzione è raggiungere l´ospedale più vicino che sta a cinque ore di macchina. Anche per questo motivo la diocesi ha acquistato un´auto. Ad esempio, le giovani donne che hanno complicanze al momento del parto sono accompagnate da noi in macchina dove capita di frequente che partoriscano durante il viaggio. Poi c´è un aspetto culturale che è molto difficile da affrontare, non da cambiare, ma da accompagnare. Sono le giovani adolescenti a restare incinte. Ma il corpo di una quindicenne non è ancora pronto per il parto.”

La questione femminile nel territorio di Ihosy è paradossale. Don Francesco descrive come siano le donne a sostenere la vita sociale dei villaggi senza avere in cambio alcun peso all´interno della comunità.

“Le donne non hanno voce in capitolo. Per qualsiasi problema a livello sociale si riuniscono per discutere, sotto un albero particolare del villaggio, esclusivamente gli uomini. Persino io posso partecipare in quanto uomo, ma non c'è mai nessuna donna. Vi faccio un esempio. In missione abbiamo un'ostetrica donna malgascia. Il suo ruolo è ormai accettato perché riconoscono il suo lavoro come utile, ma quando discutiamo di questioni sanitarie, in alcuni villaggi dove ancora sono molto legati alle tradizioni ancestrali, lei non può rivolgersi agli altri uomini coinvolti nella riunione. Può parlare solo con me e sono io che poi devo almeno annuire per validare ciò che dice. Stesso discorso per le maestre. È una situazione pesantissima, ma non possiamo entrare come un carro armato nella loro cultura. Non a caso, deve essere l'alfabetizzazione ad incidere moltissimo nel ruolo della donna all'interno della comunità del sud del Madagascar.”

L´istruzione, ancora una volta, è la soluzione. Don Francesco parla di classi scolastiche quasi totalmente al maschile, specialmente quelle corrispondenti agli ultimi anni delle elementari a cui le bambine non accedono per volere delle famiglie, nonostante il supporto, non solo economico, della missione. Eppure qualcosa sta cambiando.

“Nove anni sono troppo pochi per assistere a grandi cambiamenti, ma il mio cuore ogni giorno si riempie di gioia. Non so se questo si può chiamare cambiamento però, da poco meno di un anno, un ragazzo che abbiamo incontrato tempo fa, ha preso la laurea triennale in infermieristica. È il primo ragazzo laureato della nostra zona. Si è laureato a Fianarantsoa, la città più vicina a Ihosy, il che significa un viaggio lungo un giorno intero di macchina. Questo ragazzo si è rivolto alla missione e noi l´abbiamo aiutato dal punto di vista non solo economico. La sua famiglia, non avendo la concezione di quanto sia importante istruirsi, non sapeva come sostenere le fatiche che lo studio universitario comporta. Oggi abbiamo dodici dei nostri ragazzi iscritti all'Università. Insomma, la gioia di vedere i ragazzi che raccolgono i frutti del loro lavoro è immensa. Noi siamo lì per sostenerli e incoraggiarli, ma il lavoro è il loro”.

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Il senso della missione è l´incontro con l´altro

La strada da percorrere è lunga, il sentiero ancora da tracciare e le difficoltà non mancano mai.

“Nel sud del Madagascar ci sono stati due anni di grande siccità. Due anni coincisi con la pandemia da COVID-19. Ma il virus, purtroppo, è stato l'ultimo dei nostri problemi per noi. Pozzi completamente prosciugati, fiumi completamente a secco. Poi finalmente l'acqua è arrivata, però tutta in un colpo solo, improvvisamente. Nell'arco di quattro o cinque ore, un ciclone ha devastato completamente i villaggi. Anche se siamo stati preavvisati, nessuno avrebbe mai pensato che potesse succedere una cosa del genere. Capanne, tetti in lamiera scoperchiati, case, le strutture della missione, le scuole completamente devastate. Abbiamo messo in salvo gli ammalati, gli studenti, le donne e i bambini nelle chiese costruite dai precedenti missionari. Terminata l'emergenza, il loro sguardo cercava il mio. Uno sguardo che doveva essere rasserenante e paterno, di chi non ha paura. Ecco perché dico che la presenza è il dono più grande per quel territorio.”

Subito dopo il ciclone, un grande aiuto è arrivato da parte della diocesi anche grazie ad una grossa raccolta fondi che è continuata nei mesi a seguire. Don Francesco specifica che la missione non è solo Opere segno né, tanto meno, solo una questione di soldi, ma in quel momento un aiuto concreto e immediato è stato fondamentale.

Il senso della missione è l´incontro con l´altro che avviene ogni giorno viaggiando tra la quarantina di villaggi disseminati ad Analavoka, a est, un servizio itinerante durante il quale Don Francesco si è sentito sempre accolto.

“Nella cultura del popolo Bara l'accoglienza è festosa comunque. Quando andiamo nei villaggi e capita di bucare una ruota, oppure il fiume straripa e non ti da il permesso di passare, abbiamo sempre ricevuto aiuto. Non mi sono mai sentito solo, mai sentito abbandonato e mai sentito in pericolo. Perché per loro l'ospite è realmente sacro. Vuol dire che se hai bisogno di un riparo ti offrono un angolino per dormire, come il loro naturalmente, non c'è il materasso, però ti danno una stuoia pulita e, anche se non hanno da mangiare, qualcosa per te c'è sempre. Dopo nove anni, il più grande insegnamento che porto nel cuore è la necessità dell'incontro con l'altro. La differenza non dev'essere mai un muro ne tanto meno divisione. Anzi. L'incontro con l'altro è un'opportunità, soprattutto quando non ci viene spontaneo. Perché non possiamo scegliere noi chi incontrare.”

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Verso i prossimi progetti

Nel prossimo triennio la missione di Analavoka sarà sostenuta dalla diocesi e da Fondazione Accademia rafforzando il ponte tra Sassari e Madagascar. Da un lato, sacerdoti e laici saranno coinvolti in alcuni processi di formazione, di incontro e di esperienza con il territorio della malgascia meridionale. Dall´altro, le prossime Opere segno a Ihosy consisteranno nel tentativo di creare delle cooperative agricole.

“È un obiettivo ambizioso più per gli aspetti culturali che per quelli pratici. Il problema infatti è riuscire a trovare la chiave per fare sì che le persone del popolo Bara imparino a lavorare insieme fidandosi l´uno dell'altro. Stiamo cercando di incrementare le opere già in atto per dare sempre più risposte alle tante esigenze del territorio.”

I progetti legati all´istruzione, alla sanità, al problema alimentare, alle adozioni e al sostegno delle persone disabili continueranno ad accompagnare la vita delle persone che abitano i villaggi sparsi per i 1.500 km della missione di Analavoka.

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Abbiamo chiesto a Don Francesco quale contributo possiamo dare noi che siamo lontani dai territori di Ihosy.

“Sostenere una missione non vuol dire solo mandare soldi, perché questo non basta a riconoscere la dignità dell´essere umano. Un aspetto che manca tantissimo è la comunicazione. Abbiamo un sito web e un profilo Instagram in cui cerco di comunicare l'esperienza che vivo come portavoce della diocesi in terra di missione. Ma non è abbastanza. È come se ci fossero i pilastri e il ponte ancora no. Dobbiamo trovare gli strumenti per comunicare col cuore ciò che accade a Ihosy.”

Con Fondazione Accademia accogliamo l´invito ad ascoltare, conoscere e diffondere il più possibile ciò che è nato nel distretto pastorale in cui Don Francesco oggi è sacerdote per poter riportare anche qui la grandezza dello scambio fra culture, tradizioni e fede. In questa direzione, indichiamo di seguito le coordinate per sostenere la missione anche con una donazione.

Dona all´Associazione “Pietra d´angolo”
IBAN IT72 Z032 6817 2000 5248 0403 960

Irene Frau Scritto da Irene Frau

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